Di tutti i significati della parola resilienza, quello che ha colpito di più la mia immaginazione è proposto da Pietro Trabucchi, psicologo, nel libro “Resisto dunque sono”: Resalio, con l’accezione di risalire, in particolare la capacità di tornare sulla barca dopo che si è caduti in acqua. Negli ultimi anni il concetto di resilienza viene utilizzato in modo massivo in ambiti dai più vari, dall’economia alla politica, divenendo abusato; e come tutte le parole sottoposte a un impiego ampio, il significato si è espanso perdendo il focus iniziale; in particolare, l’essere resilienti è diventato, per estensione, il modo di adattarsi alle situazioni andando a creare un malintesa accezione di accontentarsi, restare immobili in attesa che l’evento passi: nulla di più sbagliato.
Partiamo dall’etimologia: il termine resilienza deriva dal latino resilire: rimbalzare, tornare indietro, ed è da sempre utilizzato nella fisica e nella meccanica per determinare la capacità di un materiale di assorbire un urto. Nella resilienza è implicata l’elasticità del componente, la sua possibilità di riprendere la forma perduta a causa di uno stress. Ed è per il contenuto intrinseco di elasticità che la resilienza è entrata nell’ambito della psicologia e dei temi inerenti alla crescita personale, come capacità umana di superare le avversità in maniera evolutiva, riuscendo a oltrepassare una crisi e tornare nella propria forma psicofisica anche dopo uno stress molto forte (vedremo che non è sempre così).
Sgombriamo il campo dagli equivoci dovuti alla sovraesposizione del termine e diciamo subito che il costrutto della resilienza attiene allo sviluppo positivo della persona dove sviluppo è progressione in termini di life skills; l’adattamento che serve per essere resilienti è quello richiesto a chi, in condizioni avverse, mette in moto comportamenti adattivi e dinamici utili al superamento del problema, atteggiamenti che comportano una crescita e di conseguenza un consolidamento di buone pratiche di problem solving. Quindi è escluso che essere resilienti significhi immobilismo e attesa, men che meno accettazione passiva degli eventi.
Da dove si comincia per essere resilienti? Come detto, la costruzione della strategia di uscita da una crisi è estremamente dinamica e la resilienza non è una qualità che esiste nel nostro carattere sic et simpliciter ma va allenata, rinforzata continuamente. Ha una componente multidimensionale ovvero è costituita da vari punti cardine: primi tra tutti autostima e autoefficacia.
La capacità di far fronte a un problema e a un momento di forte stress parte dalla lettura che facciamo di ciò che ci succede. E’ tutta questione di come si percepisce un evento sfavorevole dice Pietro Trabucchi: “Di fronte a un problema posso focalizzarmi sull’immensità della mia sfortuna oppure sulle risorse che dispongo per tentare di risolverlo”; in altre parole concentrarsi sulla soluzione. Non c’è un unico modo per trarsi d’impaccio perché ogni situazione cambia in base a molti fattori. Di certo se continuiamo a considerare solo le difficoltà avremo una visione univoca e limitata della circostanza, ma se cominciamo a pensare in termini di risorse personali e possibili vie di uscita ci si apriranno molteplici strade per tentare di venir fuori dal momento avverso.
Qual è la via per cambiare punto di vista? Concentrarsi sulle soluzioni presuppone un cambio di paradigma importante: già il fatto che si cominci a pensare in termini di risoluzione, richiamando a sé l’autoefficacia, la consapevolezza della propria capacità di svolgere costruttivamente un compito, senza fossilizzarsi solo sugli ostacoli che si parano di fronte, è segno di carattere resiliente. Non c’è però autoefficacia senza autostima, la valutazione positiva di sé.
“Le autoinfluenze agiscono deterministicamente sul comportamento così come le influenze esterne. A parità di condizioni ambientali, le persone capaci di mettere in atto molte possibilità di azione ed esperte nella regolazione della loro motivazione e del loro comportamento avranno una maggiore libertà di provocare eventi rispetto a coloro che dispongono di mezzi di agentività personale limitati. E’ perché l’autoinfluenza agisce deterministicamente sull’azione che è possibile una certa libertà” (Albert Bandura, Autoefficacia: teoria e applicazioni).
Aumentando il grado di autoconsapevolezza, ovvero la capacità di essere influenzati dai nostri standard personali anziché essere agiti dal giudizio pubblico che, di solito, ci crea l’ansia da prestazione, si determina la libertà di azione individuale. Molti sono condizionati in modo considerevole da cosa pensino gli altri, cedendo così il controllo sulle proprie prestazioni a terzi. L’essere centrati su sé stessi aiuta a rispondere solo alle nostre aspettative e non a quelle altrui e tenere saldo il potere di gestire la nostra vita. “In ogni situazione che viviamo due opposte dimensioni, devo e posso, influiscono sull’efficacia e sulla qualità delle nostre azioni […] La dimensione del dovere dirige gran parte della nostra esistenza presente passata e molto probabilmente futura” (Giulia Zenni, Le quattro chiavi del Potere personale). Per avere il pieno controllo del nostro agire dobbiamo essere liberi dal dovere, che generalmente è imposto da bisogni altrui, e sentire le nostre esigenze come primarie, lasciando solo a noi stessi il controllo delle nostre decisioni.
Non appena ci sopravviene un evento avverso aumenta inevitabilmente un componente necessario quanto pericoloso: lo stress. Anche questo termine viene utilizzato in maniera massiva e quando ne parliamo lo associamo a un eccesso di fatica, in particolare a una fatica emotiva. In parte è così naturalmente ma lo stress, fino a un certo grado di carico, è necessario per sostenere la nostra quotidianità. Il compito degli stressors, gli agenti dello stress, è quello di attivare la risposta biologica e cognitiva attraverso cui il nostro organismo affronta i piccoli e grandi compiti giornalieri. Sia che si debba svolgere un’attività routinaria e apparentemente semplice (guidare l’auto), o che si debba reagire a una situazione complessa e mai vista prima, lo stress ci fornisce il giusto apporto di energia necessaria a compiere movimenti e pensieri utili al momento. Più è alta la sicurezza di sé e la capacità di attivare comportamenti efficaci più saremo quindi in grado di gestire lo stress che rimarrà sotto la soglia di guardia senza trasformarsi in distress, la condizione stressogena avversa che può determinare un crollo fisico ed emotivo e un conseguente annullamento delle capacità di reazione.
Come si è visto fin qui, la resilienza è una qualità multifattoriale che non può prescindere da un lavoro su sé stessi teso a rafforzare alcune competenze necessarie alla vita di tutti i giorni. Ma dopo tutta la fatica fatta per irrobustire il nostro sé saremo in grado di vincere sempre tutte le sfide della vita? purtroppo no e nel prossimo capitolo vedremo perché. Stay tuned.