Nella mia esperienza professionale mi è capitato recentemente di riflettere sul fatto che, per la prima volta dopo tanti anni di professione, i pazienti uomini hanno superato, nel numero, le pazienti donne. La spiegazione a questo fenomeno ci porta, forzatamente, al cambiamento culturale che la società moderna (italiana nello specifico) sta vivendo. Sono nate associazioni di padri che lottano per un affidamento congiunto dei figli, associazioni di uomini che si battono contro la violenza contro le donne; questo significa che, alla presa di coscienza con cui ha fatto il suo ingresso nella vita pubblica il movimento delle donne, oggi si affianca un movimento culturale che parte “dall’esperienza di essere uomini”, dal desiderio di uno “sguardo autonomo” capace di prendere distanza da identità, ruoli di genere imposti fino ad oggi da una società troppo “maschilista”.
Nonostante questo, ci sono ancora alcune reticenze a chiedere aiuto per affrontare problemi relazionali o interiori da parte degli uomini. Forse sta cambiando il ruolo maschile tradizionale che prescrive agli uomini di essere insensibili ai propri sentimenti o alle preoccupazioni. Nonostante la direzione sembra quella di una maggiore accettazione della sofferenza individuale, ancora permane l’idea, prevalentemente nel pensiero maschile, che la psicoterapia sia rivolta esclusivamente alla malattia mentale o all’emarginazione sociale. Se e’ vero che esistono differenze nella percezione dell’utilità di una psicoterapia tra uomini e donne, è anche vero che esistono differenze culturalmente determinate nell’espressione delle emozioni tra i due generi. Sono ancora molti gli stereotipi in questo ambito, ad esempio, che etichettano come più “femminili” espressioni emotive quali paura e tristezza e più appropriatamente maschili comportamenti inerenti la sfera della rabbia e dell’aggressività.
Negli ultimi anni anche gli uomini hanno accusato – in misura crescente – disturbi di stress psicologico, che evidenzia un disagio avvertito. Molto spesso gli uomini non richiedono di entrare in terapia perché’ è molto difficile ammettere a se stessi di aver un problema, fino a quando il peso delle pressioni e dell’evitamento risulta invalidante.
Inoltre, uomini e donne si rivolgerebbero ai professionisti della salute mentale con aspettative differenti. Il “genere” degli aspiranti pazienti in psicoterapia farebbe dunque la differenza negli obiettivi e nel tipo di approccio terapeutico ricercato.
Cosa si aspettano, uomini e donne, dalla terapia psicologica? Non le stesse cose: in genere, gli uomini desiderano una soluzione rapida ai loro problemi, mentre le donne esprimono il bisogno di parlare delle proprie emozioni e di ciò che le ha portate a chiedere aiuto. Gli uomini esprimono generalmente una preferenza per le terapie di gruppo, in cui sia possibile condividere i problemi e ricevere consigli al fine di risolvere il proprio problema nel minor tempo possibile.
Nonostante le ricerche abbiano evidenziato queste differenze, ogni lavoro di psicoterapia, quale che sia il suo orientamento, non potrà che tendere a una feconda integrazione degli aspetti della personalità riabilitando quegli aspetti rifiutati, consapevolmente o meno, del proprio genere anziché avallare quelle rappresentazioni identitarie e stereotipali spesso responsabili di sofferenza e disagio psicologico.