L’ansia, temuta, odiata, mal sopportata, è parte imprescindibile del repertorio delle nostre emozioni.
Questo significa che non avere ansia sarebbe impossibile quanto malaugurato. Impossibile giacché, a meno che, non si opti per un medievale intervento di rimozione delle zone cerebrali ad essa collegate, non possiamo liberarci di qualcosa di intrinseco alla nostra natura. Malaugurato perché, prima di arrivare agli stati ansiosi invalidanti esiste una certa dose di ansia funzionale al raggiungimento dei nostri obiettivi lavorativi, scolastici, personali, affettivi, sociali. L’ansia va sotto braccio all’impegno, al senso di responsabilità, al saper prevedere le conseguenze delle nostre azioni e in generale, a tutti quegli aspetti che concorrono alla costruttività. Provare ansia significa aver “paura di”, quindi ci fa essere più attenti, più meticolosi, aiuta a ponderare.
Allora perché l’ansia a volte può fare male al punto di sviluppare sintomi persino di intenso malessere fisico?
Il problema non è l’ansia, ma le cause che soggiacciono quella “paura di” diventata disfunzionale. Se per esempio un ragazzo ha appreso, più o meno consapevolmente, che un brutto voto significa non essere adeguato, non essere intelligente e sente che deluderà rischiando di perdere stima ed affetto, stupirebbe moltissimo se questo non provasse una forte ansia prestazionale, espressione della paura di non farcela.
E’ il caso di molti ragazzi/e, che pur presentando un’intelligenza assolutamente nella norma ed un sano sviluppo fisico, di fronte all’esame da superare, si terrorizzano al punto di congelarsi e non riuscire a compiere nessun passo proficuo verso la meta.
Spesso l’ansia è anche espressione di un blocco evolutivo, dove il sintomo punta il dito là dove sono necessari uno o più cambiamenti a risolvere la crisi emotiva. Accade ad esempio che una figlia preoccupata per i suoi genitori in crisi coniugale che avverte soli e tristi, arrivata in quella fase di sviluppo che richiederebbe “l’uscita dal nido”, sia bloccata tra la scelta di dedicarsi a se stessa e i propri obiettivi e la scelta invece di rimandare per restare il più possibile di sentinella a casa. Il prezzo da pagare sarebbe alto in ogni caso, così nel frattempo sposta l’attenzione sull’ansia che inconsapevolmente esprime il conflitto e consente di rallentare se non frenare. L’ansia “smisurata” non è una nemica; è un sintomo e i sintomi ci aiutano a capire quando e cosa non va bene. Va affrontata nel senso di “ascoltata”, con l’aiuto dell’esperto va capita e gestita. Basta decidere di aprire quel vaso di Pandora e cercare.
Lo psicologo fa come si racconta con un aneddoto di Milton Erikson, psichiatra americano:
vedendo un cavallo sconosciuto e perduto decise di salire in groppa e di ricondurlo a casa non facendo altro che tenerlo sulla strada. Ogni volta che il cavallo brucava erba, si allontanava, si fermava, lo riconduceva sulla strada, fin quando il cavallo non giunse a casa semplicemente seguendo la direzione che sapeva ma che poteva ogni volta imboccare solo grazie all’intervento costante ed oculato del suo cavaliere.