La professione del counseling è molto diffusa in tutto il mondo ma spesso non si conoscono i benefici. Perché rivolgersi ad un counselor quando parliamo di benessere personale?
Nonostante la diffusione e l’efficacia dei professionisti esiste una concreta difficoltà a comprendere il valore di un percorso socio educativo con un counselor. Al contrario dei paesi anglosassoni ed europei in genere, dove questa professione è largamente riconosciuta e praticata, in Italia è ancora poco diffusa nonostante siano ormai diversi anni che è stata introdotta. Le ragioni sono diverse, una tra tutte la proliferazione delle figure professionali nel campo delle relazioni d’aiuto che, come dice Cecilia Edelstein, curatrice del volume “Le diverse professioni nella relazione d’aiuto: un movimento emergente” edito da Aracne, ha creato sovrapposizioni e, non di rado, opposizioni che hanno ritardato l’emersione del counseling come attività professionale a se stante, svolta da persone formate con un master triennale ad hoc e non solo da psicologi.
Sfatiamo subito un mito: il counselor non è una specie di psicologo; esercita un’importante attività d’aiuto ma il suo lavoro non si svolge in ambito clinico bensì in ambito educativo. Di certo la psicologia è la base di studio anche per chi affronta il master di counseling ma le sue competenze in materia sono diverse da chi è laureato in psicologia e formato per un intervento anche di tipo sanitario. Quindi le due professioni non sono paragonabili per quanto agiscano entrambe sul bisogno d’aiuto degli individui. Nel counseling “si fa leva sulle componenti sane, sulla spinta al benessere, dove il cliente diventa attivo ed esplora sé stesso” (C. Edelstein, il counseling sistemico pluralista, Trento, Eriksson, 2007). Il counselor non fa diagnosi, non cura patologie ma si prende cura delle persone e della loro voglia di migliorarsi. Chi va da counselor non è un paziente ma un cliente.
Un percorso di counseling è di breve durata, massimo 12 incontri, e dà sostegno emotivo ed educativo per ritrovare la via alla risoluzione di un problema, chiarendo al cliente le modalità più fruttuose per farlo. La rapidità del percorso è sì una disposizione legislativa ma rientra anche nella filosofia del counseling stesso: “la brevità viene perseguita non per propri interessi; viene invece valorizzata perché stimola i clienti a vivere la loro vita senza avere bisogno del counselor: l’obiettivo è quello di non essere più indispensabile per i propri clienti.” (J.M.LIttrell, il counseling breve in azione, Roma, Sovera, 2011). Il counselor è quindi un facilitatore, un consulente che aiuta gli individui che attraversano un momento di difficoltà ad aiutarsi. Il lavoro centrato sulla persona facilita l’autoconsapevolezza e l’elicitazione delle risorse personali utili a sostenersi nel tentativo di risolvere un momento di empasse. Attraverso la relazione che si instaura con il professionista, fatta prima di tutto di fiducia e di assenza di giudizio, così come postulato da Carl Rogers tra i fondatori della Psicologia Umanistica dalla quale nasce il paradigma del counseling, il cliente sente valorizzate le sue possibilità di cambiamento e rinforza l’autostima e l’autoefficacia che sono i fattori fondamentali per l’agentività umana.
Uno degli strumenti principali del counselor è l’ascolto attivo, necessario a che il cliente si senta accettato e compreso nei propri bisogni, il feedback che ne scaturisce gli restituisce quanto espresso, in modo che egli possa utilizzarlo per consapevolizzare le risorse a sua disposizione e sia in grado di pianificare l’intervento utile al percorso che vorrà intraprendere. Il professionista dal canto suo deve aiutare il proprio cliente a scegliere la via possibile senza illuderlo che, “se vuole”, il cambiamento sarà certo. Volere non è sempre potere poiché, alcune volte, i bisogni espressi non sono congrui con il tempo a disposizione e la situazione di vita delle persone; volere però è un necessario punto di partenza per cercare di fare passi avanti nel cambiare una situazione di cui non si è soddisfatti. Per esperienza asserisco senza dubbio che già operare una modifica, anche minima, al proprio stile di vita, aumenta l’autostima e dunque la possibilità che gli individui possano continuare ad agire proficuamente per inseguire i loro sogni.
I settori in cui un percorso di counseling può essere molto utile sono diversi: la cura della propria espressività, il perfezionamento del proprio stile comunicativo attraverso l’incremento dell’assertività, il miglioramento della conoscenza di sé stessi, l’instaurarsi di soddisfacenti relazioni umane sia in ambito privato che in ambito lavorativo e molto altro: il risultato finale sarà un aumento del benessere personale e un miglioramento dei rapporti sociali.
Insisto sulla parola benessere poiché la deontologia professionale ci impone di sgombrare subito il campo da malintesi per permettere al cliente di scegliere in autonomia e consapevolezza qual è il professionista più adatto alle sue esigenze del momento. Chiarire immediatamente che il mio non è un intervento terapeutico bensì socio educativo, improntato sul qui e ora e utile a recuperare le proprie risorse e le proprie competenze per cercare di indirizzare la propria azione verso un futuro desiderato, aiuta la persona seduta di fronte a me a comprendere se quel che possiamo fare insieme può essergli d’aiuto. E’ altresì mia cura inviare a professionisti adeguati quei clienti che abbiano disturbi o episodi quotidiani che siano riconducibili a problemi di carattere psicologico più complesso, ad esempio gli attacchi di panico, i disturbi d’ansia e altre fragilità che hanno bisogno di un intervento terapeutico per il quale io non sono formato. Questo ultimo passaggio è molto importante. Ogni professionista ha dei limiti operativi che devono essere rispettati sia per non arrecare un danno al nostro cliente che per non incorrere in abuso della professione.
Un ultimo tema che ritengo utile affrontare in questo ragionamento è quello della libertà individuale; cosa c’entra la libertà personale con quanto detto sopra? C’entra molto. La libertà è uno dei beni più grandi che ognuno di noi possiede. Avere capacità di autodeterminazione, quindi la libertà di scegliere i propri percorsi di vita rimuovendo gli impedimenti emotivi e operativi che li ostacolano, vuol dire avere a disposizione la propria vita nella pienezza. Un percorso di counseling nel quale un individuo prende coscienza delle proprie capacità, della propria personalità e impara a mettere in campo risorse per indirizzarsi verso il proprio futuro desiderato, mira proprio a rendere quell’individuo libero dalle pastoie morali in cui spesso restiamo bloccati. Liberare le proprie potenzialità emotive e cognitive per cercare il benessere e la soddisfazione di sé stessi, dovrebbe essere dunque l’obiettivo di ogni essere umano e i counselor possono essere di grande aiuto in questa voglia di autodeterminazione. Come scrive Paulo Freire nel suo “Pedagogia degli oppressi”, l’obiettivo di chi educa deve essere quello di risvegliare capacità critiche, riflessività e creatività, componenti essenziali del bagaglio personale di chiunque voglia liberarsi dal destino ineluttabile che spesso sentiamo calato sulle nostre vite.
Quindi, in conclusione: provate a essere padroni di voi stessi: contattate un counselor per un colloquio, datevi una possibilità di crescita e tentate di liberare la vostra quotidianità dal peso dell’insoddisfazione e poi guardate l’effetto che fa.