Sebbene non tutti ne abbiamo piena consapevolezza, il cibo e tutto ciò che è connesso all’alimentazione hanno un ruolo predominante nelle nostre vite quotidiane; ciò è determinato non solo da un fabbisogno meramente fisiologico ma anche da una necessità affettiva ed emotiva. Diversi studi fino ad oggi hanno dimostrato che i meccanismi coinvolti nella nostra relazione con il cibo sono innumerevoli senza, quindi, trascurare quelli di origine più squisitamente psicologica. A partire dall’allattamento, fino a quando poi il bambino siederà a tavola e più tardi ancora sarà esso stesso a veicolare il cibo, l’alimentazione è simbolo di armonia famigliare, piacere, socializzazione e soddisfazione emotiva e mentale. Dunque, nel corso della nostra vita, sperimentiamo gli effetti che il cibo ha, non solo nel nostro corpo ma, anche sulle nostre emozioni ed i pensieri ad essi correlati.
Alla luce di ciò, spesso può accadere di mangiare non per un fabbisogno fisiologico ma in risposta a particolari sentimenti come rabbia, tristezza o a certe sensazioni così definite di “vuoto interiore”. Questi episodi vengono inclusi nel fenomeno denominato “Emotional Eating” in cui, talvolta, si verifica un eccesso di alimentazione irregolare dove a predominare è l’esplosione delle emozioni sul bisogno reale del corpo. Al sopraggiungere dell’emozione spiacevole – non identificata nello stesso istante – si cede all’istinto che induce alla ricerca di cibi cosiddetti “confortevoli” che, di fatto, nell’immediato accolgono quel bisogno. Successivamente, emergono sensi di colpa e sensazioni di frustrazione legati ad un tentativo di soffocamento delle emozioni forti e dolorose e di evitamento dei pensieri ingombranti.
La relazione tra corpo e mente è quindi bidirezionale, l’uno influenza l’altro e, spesso, il rischio è di dar vita ad un circolo vizioso in cui i bisogni di entrambe le parti si fondono. Tra le tecniche di terza generazione che, come dimostrato, hanno una certa efficacia nell’acquisizione di consapevolezza rispetto alla propria esperienza in termini di bisogni e necessità, è la Mindful Eating (Kabat-Zinn).
Si tratta di un approccio consapevole al cibo attraverso cui ci si avvicina con le abilità di: osservare, descrivere e partecipare. L’obiettivo è quello di allenare la nostra mente ed il nostro corpo ad utilizzare tutti e cinque i nostri sensi quando si entra in relazione con il cibo, ascoltando ed entrando contemporaneamente in connessione con i nostri stati interni. Attraverso tale tecnica, dunque, è possibile dirigere l’attenzione al momento presente – qui e ora – connettendosi con le corrispondenti sensazioni dell’istante, assumendo un atteggiamento non giudicante.
La Mindful Eating non prescrive quanto, quando e cosa mangiare ma insegna come mangiare. Così, l’esperienza che si fa con il cibo è intensa, piena e vera. Si impara ad osservare ciò che si mangia, a sentirne i profumi, la consistenza e a gustare i sapori che sprigionano da ogni pasto.
Oltretutto, il programma di Mindful Eating contribuisce ad allenare le abilità di regolazione emotiva in ogni comportamento alimentare problematico come nel caso della bulimia nervosa e nel disturbo da alimentazione incontrollata. In questi casi, viene appreso a disinnescare gli impulsi e i comportamenti automatici favorendo, invece, strategie più adattive e salutari.