Nella cultura occidentale, quando un oggetto d’uso comune come una tazza, un vaso o un recipiente si rompe, di solito si ritiene che abbia perso ogni utilità e viene quindi rapidamente sostituito o smaltito. Non si può dire lo stesso per il Giappone, dove, nei secoli, si è diffusa nella tradizione nipponica la nobile arte del Kintsugi (金継ぎ, la cui traduzione letterale è “riparare con l’oro”).
Questa antica tecnica di restauro, le cui origini vengono fatte risalire al XV secolo, venne ideata da alcuni ceramisti giapponesi per riparare le tazze in ceramica abitualmente utilizzate nella cerimonia del tè. Il suo nome ne riassume fedelmente il significato, in quanto la tecnica consiste nella riparazione di un vaso o un recipiente in ceramica, attraverso l’uso di un collante in metallo prezioso, come l’oro, l’argento liquido o la lacca in polvere dorata. I cocci vengono riuniti tra loro, esaltando le nervature dorate create dalla saldatura dei pezzi. L’oggetto riparato diviene, così, una vera e propria opera d’arte unica nel suo genere. Non esisterà mai un vaso identico a un altro, in quanto i pezzi ricomposti tra loro saranno di forme e disposizioni sempre diverse. Le splendenti striature che li tengono uniti creano un reticolato irregolare e armonico al tempo stesso, come fossero vasi sanguigni che scorrono all’interno di un essere vivente, pompando preziosa linfa all’organo che, per eccellenza, viene associato alla dimensione affettiva e vitale: il cuore.
Nel Kintsugi viene attribuito un valore intrinseco agli oggetti, dotandoli di un sentire che si accomuna al nostro, quando per incidenti di percorso, ci ritroviamo ad applicare bende e pomate sulle parti del corpo più sofferenti. Allo stesso tempo, l’atto di prendersi cura di qualcosa o qualcuno ci apporta un notevole beneficio in termini di benessere personale.
“Colui che si prende cura” sta indirettamente rivolgendo quell’azione verso sé stesso, oltre che verso il ricevente. Ecco perché riportare a nuova vita un oggetto che si pensava ormai perduto, non gli attribuisce solo un valore aggiunto, ma ci restituisce un senso di pace e armonia col macrocosmo. In un certo modo, abbiamo contribuito al vasto ciclo vitale, nel quale la morte si rinnova e risorge dalle proprie ceneri, in un moto perpetuo.
Nella cultura nipponica, il microcosmo individuale, fatto di azioni semplici e ripetute, si intreccia armoniosamente col macrocosmo spirituale, dando vita a una filosofia di pensiero unica nel suo genere. Così, nell’arte del Kintsugi, è racchiuso questo medesimo dualismo, trovando un forte rispecchiamento anche nella sfera emotiva ed esistenziale dell’essere umano.
Nella vita possono verificarsi situazioni molto spiacevoli che incrinano le nostre certezze, eventi che possono frantumarci in tanti piccoli pezzi, come quelli del nostro vaso in ceramica. Eppure, come ci insegna il Kintsugi, non c’è frattura che non possa essere minuziosamente ricomposta e, per giunta, impreziosita e valorizzata, esattamente come quelle scintillanti venature che scorrono come rigagnoli tra le crepe della ceramica. Esse ci ricordano non solo l’importanza di ricostruire dalle rovine, ma anche di esporle con orgoglio, come un monito costante: quando cadiamo, abbiamo sempre la capacità di rialzarci, più forti, luminosi e consapevoli di prima. Sono proprio quelle aree di congiunzione apparentemente instabili, che mantengono forte e salda l’intera struttura. La fragilità non è dunque vista come una debolezza da celare o evitare, quanto piuttosto come un simbolo di forza, di profondo arricchimento personale e spirituale.
Quando i pezzi del vaso vengono ricomposti, si crea un oggetto altro rispetto alla sua forma originaria. E non è forse vero che, affrontando le nostre vulnerabilità, ci ritroviamo spesso trasformati e rinnovati come individui? L’aspetto più doloroso del cambiamento consiste nell’accettazione del concetto di perdita: l’abbandono di una parte di ciò che eravamo, a beneficio di ciò che possiamo diventare. Da qui si sviluppa l’essenza stessa della resilienza, ovvero la capacità di affrontare i traumi della vita, trasformandoli in gioielli da esibire senza vergogna, felici di ciò che l’esperienza ci ha insegnato e consapevoli che è stata proprio quella caduta a renderci esseri realmente unici, preziosi e degni di valore.
di Carolina Catapano, Professional Counselor