Il cervello umano può restare plastico e pronto ad esplorare e ad imparare cose nuove a qualsiasi età perché è adattabile e reagisce ai cambiamenti che accadono sia al suo interno che nell’ambiente; l’obiettivo di ognuno di noi dovrebbe essere di imparare a costruire degli stili di vita capaci di lubrificare con costanza gli ingranaggi che sorvegliano la durata della nostra vita.
Mantenere un cervello ben funzionante richiede impegno e dedizione e una certa costanza durante tutte le fasi della vita, anche in quelle più difficili. Tanti sono i fattori che contribuiscono alla buona riuscita di questo intento; gli ostacoli sono tanti ma anche tante sono le pratiche che si possono mettere in atto. Tra queste, per esempio, una rilevanza particolare è dedicata all’amicizia. Socializzare, infatti, è un passaggio importante per mantenere la mente attiva perché costruire amicizie e relazioni richiede impegno. Uno dei motivi per cui le interazioni sociali fanno bene è che coltivarle richiede tanta energia e di conseguenza costituisce un vero e proprio allenamento per il cervello. Chelsea Wald sulla rivista Nature ha scritto: “I ricercatori presumono che l’atto della socializzazione possa a tutti gli effetti accrescere e rafforzare il cervello nello stesso modo in cui l’esercizio fisico accresce e rafforza i muscoli. Questa riserva accumulata dal cervello può poi fungere da protezione contro le perdite funzionali, anche in casi d malattie gravi come il morbo di Alzheimer”.
L’amigdala è implicata nella elaborazione delle emozioni ed è influenzata dai livelli legati all’attività sociale: più è alta la quantità complessiva dei tipi di rapporti sociali che si intrattengono, più grande diventa l’amigdala. Se si triplica il numero di persone della propria cerchia sociale si raddoppia il volume dell’amigdala. Insomma l’eccessiva solitudine provoca danni seri al cervello.
Il ballo e il contatto umano possono evitare l’isolamento, per questo è bene cercare a qualsiasi età di instaurare relazioni costanti e piacevoli.
La ricerca mostra che, per ogni anno in ci si compie una esperienza di apprendimento il declino cognitivo è ritardato di 0,21 anni. Mark Antoniou, un ricercatore australiano, afferma: “La riserva cognitiva è un termine che descrive la resilienza rispetto al danno neuropatologico del cervello, e si ritiene essere il risultato di cambiamenti neurali prodotti da esperienze che sono la conseguenza di uno stile di vita fisicamente e mentalmente stimolante.”
In America gli anziani si allenano con i videogiochi; alcuni di questi aiutano a migliorare la memoria di lavoro (sia in presenza di distrazioni che non) e la capacità di mantenere l’attenzione. Passare con rapidità da un compito all’altro con l’età diventa sempre più difficile e di conseguenza è molto più facile cedere alle distrazioni. A tanti sarà capitato di aver pensato qualcosa da fare e di essersi domandati subito dopo “Cosa ero venuto a fare qui”? La velocità di elaborazione elabora e reagisce agli stimoli esterni, in vecchiaia diminuisce e costituisce il massimo fattore predittivo del declino cognitivo.
Inutile ricordare come alimentazione e attività fisica possano stimolare la mente a tenersi allenata e brillante. “Coloro che pensano di non avere tempo per l’esercizio del corpo presto o tardi dovranno trovare il tempo per le malattie”, scriveva Edward Stanley nel lontano 1873. Stessa cosa vale per il sonno; la scienza non sa esattamente di quante ore di sonno abbiamo bisogno e dagli studi recenti viene fuori che il sonno non ha il solo scopo di rigenerare le energie ma di consolidare la memoria e di eliminare gli scarti tossici proprio dal cervello. Con l’avanzare dell’età, il ciclo del sonno diventa più frammentato e acquisire abitudini di sonno corrette è il modo migliore per scongiurare nella vecchiaia il declino cognitivo legato al sonno. L’invecchiamento non è una malattia ma un processo naturale. Mantenersi attivi, mangiare sano, ridurre lo stress, essere ottimisti, mantenere una ricca vita sociale. Questi dovrebbero essere gli ingredienti di una vita serena a cui dedicarsi per evitare di arrivare a patologie invalidanti come può essere per esempio l’Alzheimer. Chi ha questa patologia presenta in generale sintomi come perdita di memoria nella vita quotidiana, difficoltà nel completare le mansioni abituali, problemi nello scrivere o nel parlare, difficoltà nel non trovare le cose, difficoltà nel programmare o risolvere problemi, ridotta capacità di giudizio, ritirarsi dal lavoro o dalle attività sociali, frequenti cambiamenti di umore e nel confondersi in luoghi e tempi. Il morbo riduce progressivamente la vita della persona affetta in 3 fasi: lieve (cominciano le difficoltà di orientamento nello spazio e cambiamenti di personalità), moderata (perdita di memoria e condizione), avanzata (crollo totale e completa dipendenza dagli altri). Le ipotesi sono tante relative alla cause e la ricerca è impegnata già da tempo nel trovare soluzioni efficaci per la cura di una patologia sempre più frequente.