Respirare è un atto naturale, la prima cosa che facciamo alla nascita. Può allora sembrare strano che la pratica dello Yoga gli dedichi tanta importanza.
Il prāṇāyāma, l’allungamento o padronanza di prāṇa, l’energia vitale, il respiro, è un aspetto essenziale in tutti gli approcci meditativi. Nasce dal presupposto che il respiro sia il nesso tra coscienza e materia, tra anima e corpo. La conoscenza del respiro apre la possibilità di accedere a stati mentali particolari.
I testi di Yoga affermano che dove va il respiro va la mente, e dove va la mente va il respiro. La relazione tra il modo di respirare e il nostro stato mentale è a doppio senso.
A livello fisiologico, è confermato che il modo in cui respiriamo può influire sul sistema nervoso, a livello simpatico e parasimpatico.
Da un punto di vista tecnico, possiamo respirare attraverso le narici o la bocca, creando spazio per l’aria nell’addome o nel torace, per esempio. Possiamo respirare a pieni polmoni o quel tanto che basta a nutrire le nostre azioni: leggere richiede relativamente poco ossigeno, correre per prendere l’ultimo treno molto di più. Un bambino che dorme solleva leggermente la pancia e la rilascia, un adulto stressato alza e contrae le spalle, creando tensione anche nel collo. Quando siamo tranquilli, il nostro respiro è leggero e regolare, in momenti di tensione è frammentario e disordinato.
Le tecniche respiratorie dello Yoga preparano alla meditazione arricchendo il sangue di ossigeno. L’ossigenazione profonda del sangue porta a uno stato fisiologico in cui lo stimolo alla respirazione è ridotto per un periodo più o meno lungo. Possiamo osservare che, quando siamo concentrati su qualcosa, talvolta ci dimentichiamo di respirare. E per la reciprocità della relazione mente-respiro, la sospensione del respiro porta a uno stato di quiete mentale. È importante rilevare che questo ‘non-respirare’ non è l’apnea dell’immersione subacquea, ma una sospensione temporanea spontanea e piacevole.
Possiamo fare un paio di semplici esercizi. Seduti in una posizione comoda, con la schiena eretta, osserviamo il nostro respiro spontaneo attraverso il naso.
Sotto osservazione, il respiro diviene più regolare e più profondo. Prestiamo attenzione a dove l’aria trova spazio: gonfiamo la pancia? Apriamo le costole? Solleviamo le spalle? Proviamo a creare spazio per l’aria in luoghi diversi. Proviamo a capire come incamerare più aria e come svuotare il più possibile i polmoni senza creare tensione.
Spostiamo l’attenzione a metà della schiena, dove il diaframma si collega alla colonna, tra l’ultima vertebra toracica e le prime lombari. Inspirando, allarghiamo le costole, come se dispiegassimo le ali. ‘Liberiamo il diaframma,’ mantenendo una pressione leggerissima in un punto a metà strada tra l’ombelico e il pube. Portiamo la nostra attenzione alle costole che si espandono. Al termine dell’inspirazione, senza fretta, aumentiamo la pressione dall’ombelico verso le costole per espellere tutta l’aria. Portiamo la nostra attenzione appena sotto l’ombelico. Senza fretta, ripetiamo il processo.
Dopo una decina di questi cicli respiratori profondi, torniamo al nostro respiro spontaneo.
Restiamo qualche minuto in silenzio, ascoltando le nostre reazioni.