Il counseling nella relazione d’aiuto nasce con il proposito di promuovere il benessere e il miglioramento della qualità della vita della persona rispetto a specifici momenti di difficoltà. Ne La terapia centrata-sul-cliente, Carl Rogers afferma che la relazione d’aiuto si potrebbe definire come una situazione in cui “almeno uno dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo sviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato nell’altro”. Come avviene tutto ciò? La relazione tra counselor e cliente si sviluppa mediante un’alleanza positiva, in cui il counselor si pone come facilitatore del processo esplorativo della persona. Per fare ciò il counselor si avvale di tecniche basate sull’ascolto attivo, l’empatia e l’accettazione incondizionata del vissuto del cliente, sospendendo il giudizio e dando così alla persona la possibilità di esprimere le proprie emozioni. Parimenti, il setting di counseling, diviene terreno fertile per sviluppare risorse e strategie efficaci per superare la crisi e mettere in moto un cambiamento.
Esistono molteplici approcci, secondo differenti scuole di pensiero. In questo contesto rifletteremo sull’impiego del counseling in associazione con un altro strumento conoscitivo altrettanto potente: l’arte. Proprio perché l’arte è un canale di esplorazione alla portata di tutti e ci fornisce una prospettiva più “distaccata” dai cosiddetti nervi scoperti, può essere uno strumento molto efficace di introspezione. Da qui nasce il concetto di Art counseling, che consiste nell’impiego di strumenti artistici ed espressivi allo scopo di migliorare la qualità della vita della persona, sia che si trovi in situazioni di malessere, sia che desideri semplicemente lavorare su sé stessa. Federico di Chio, nel suo volume sul cinema L’illusione difficile, afferma che attraverso la visione di un film “l’uomo-spettatore può fare esperienza fuori di sé e, ancor più, fare esperienza di sé fuori della propria vita, traendo […] risorse importanti per la costruzione della sua identità”.
Tra tutte le arti, il cinema mantiene un aspetto di tale verosimiglianza con la realtà da portarci a sviluppare fenomeni di forte identificazione con le vicende narrate, pur non perdendo di vista la realtà in cui viviamo. Un paradosso che viene ulteriormente puntualizzato da Jung, in Tipi psicologici, quando afferma che colui che guarda l’oggetto artistico “si trasforma in quell’oggetto, s’identifica con esso e si libera così da sé stesso”, sia pure per un certo lasso di tempo. Tale dualismo identificazione/distanziamento consente allo spettatore di attuare un cambiamento che può portare dei benefici anche sul lungo termine, consentendogli di acquisire maggiore consapevolezza di sé proprio perché sta osservando la situazione da una nuova prospettiva.
Questo stesso processo è verificabile anche in un contesto di counseling, laddove uno degli aspetti fondanti della relazione d’aiuto consiste proprio nel “sentire il mondo personale del cliente “come se” fosse nostro, senza però mai perdere la qualità del come se” (Carl R. Rogers, La terapia centrata-sul-cliente, Giunti, p. 55). L’empatia, presupposto fondamentale per costruire una relazione autentica.
Come disse il grande cineasta, Wim Wenders, “penso che ogni immagine cominci ad esistere solo quando qualcuno la sta guardando”, sottolineando come la stessa esistenza del cinema dipenda dallo sguardo dello spettatore. Nuovamente cogliamo un potente richiamo alla centralità della relazione, dentro e fuori dalla sala cinematografica. Una relazione mai univoca, in quanto entrambe le parti subiscono una trasformazione e un rispecchiamento reciproco che soddisfa il bisogno ancestrale di sentirsi riconosciuti e accettati. E non è forse uno degli aspetti centrali dell’esistenza umana, in cui accanto alla costruzione della propria identità, ci impegniamo a coltivare relazioni con gli altri che rispondano altresì a un bisogno di auto-affermazione?
Il cinema è uno specchio su cui si rifrange l’intera esperienza umana, da cui possiamo trarre insegnamenti importanti o trascorrere semplicemente qualche ora di spensieratezza. Abbandonando per un attimo i nostri panni, forse quando andremo a riprenderli ci renderemo conto di quanto fossero stropicciati, usurati, troppo stretti o troppo larghi. Allora, se lo desideriamo, possiamo decidere di indossarne di nuovi, più confortevoli e capaci di rispecchiare realmente la nostra figura nel qui e ora.
Se desiderate approfondire l’argomento o sperimentarlo in prima persona, vi segnaliamo il corso in partenza a ottobre in cui ci soffermeremo proprio sul rapporto tra il cinema e il benessere personale: https://www.sienasalute.it/loving-cinema-percorso-di-counseling-sul-tema-dellamore-nel-cinema-per-il-benessere-personale/
di Carolina Catapano, art counselor